all'estero
morire all’estero
Sono entrato nella stanza a passo felpato. La osservo da
lontano fissare intensamente la parete. Emma, girata completamente sul fianco,
neanche risponde al mio entrare.
La parete è interamente
vetrata: il giardino e il laghetto con i suoi cigni bianchi sembrano entrare direttamente
nella piccola stanza, insieme alla luce del tramonto. Sì, questo tramonto è la sua
vita. La chiamano la clinica della morte ed è tenuta da suore completamente
vestite di bianco. Siamo all’estero. Come facciano a resistere in un luogo dove
si viene solo per morire, per una settimana, due o tre al massimo, è la mia
domanda interiore... Sono malati in fase terminale.“La preghiera, mi dice una di loro, è la nostra forza!” E sarà vero, visto che l’unica forza in una
situazione così estrema non può venire che dall’alto.
A volte vedi passare il prete cattolico, a volte il pastore protestante. Ora, a fine pomeriggio qualcuno passa delicatamente per le stanze come al mattino per un dessert. In un immenso plateau il malato si vede offrire il dessert che preferisce in una scelta varia tra frutti esotici e delikatessen. Cosa vuol dire mai questo invito a gustare le cose del mondo nei propri ultimi istanti di vita?
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